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L’età avanzata tra stereotipi e possibilità

L’anzianità: età di saggezza o segno di marginalità? Scopriamo insieme la dicotomia e le opportunità.

Con l’avanzare del nuovo anno, i riflettori si accendono sul tema della terza età, spesso ingiustamente percepita come un periodo di vita meno significativo o privo di efficienza. Tale visione limitata nasce da uno dei pregiudizi più duri a morire, che contrassegna le persone anziane come meno utili alla società. La crescita del numero di individui di età avanzata prospetta un incremento dei non autosufficienti del 48% entro il 2060, ponendo altresì pressione sul sistema pensionistico a causa di un rapporto sempre più stretto tra lavoratori e pensionati.

Tuttavia, è necessario riconsiderare le concezioni sull’anzianità, reinventando un’immagine che superi la tradizionale linearità con cui tendiamo a catalogarla. Nonostante il perdurare di atteggiamenti discriminatori – noti come ageism – la terza età si sta “riposizionando”. Storicamente, la venerazione degli anziani trionfava fino a quando la discrepanza nell’età media era al massimo di 20-30 anni; oggi, con un divario che può arrivare a 60 anni, le forme di pregiudizio si sono fatte più insidiose.

La necessità di una responsabilità etica che unisce le generazioni, condividendo esperienze e saggezza, è palpabile. Tali valori potrebbero dare vigore alla società moderna, spesso troppo incentrata sul presente e priva di un solido rapporto con il passato. A tal proposito, questo distacco storico-culturali diventa particolarmente rilevante alla luce delle sfide affrontate dalle generazioni più giovani, dalla dipendenza da antidepressivi e droghe alla problematica dei NEET.

È urgente superare gli stereotipi negativi dell’anzianità, inclusi quelli che la relegano a un semplice supporto familiare o di welfare. Molte vecchieia, seppur caratterizzate da una maggiore longevità, non godono di una qualitativa partecipazione attiva alla vita sociale e professionale, inducendo a una sorta di esclusione non sempre volontaria.

Differenze di genere intervengono ugualmente in questo contesto, con gli uomini orientati a mantenere una certa immagine di forza e potenza sessuale, riflessioni della società dell’immagine che esalta bellezza e vigore giustapposti all’inevitabile processo d’invecchiamento.

Contro questo sfondo, si staglia l’importanza di una cultura che apprezzi l’autonomia e l’indipendenza oltre l’età cronologica. I tentativi di sconfitta dell’invecchiamento attraverso l’epigenetica sono sempre più evidenti, con notevoli investimenti nel campo della longevità. Rimane, tuttavia, una visione giovanilistica che opprime chi non più si identifica in quei canoni.

Il conflitto generazionale si traduce in un impoverimento della profondità spirituale e in una riduzione della complessità emotiva. È imperativo rivalutare l’invecchiamento non come degrado ma come un’opportunità relazionale e sociale di condividere esperienze e saggezza, creando valore per la comunità.

Riconoscere l’anzianità come una fase di crescita consapevole può aprire le porte a nuovi ruoli sociali e a progetti futuri. Accettare le trasformazioni che derivano dagli anni non come un onere ma come un arricchimento è la chiave per una società più inclusiva e rispettosa delle potenzialità intersettoriali dei suoi membri.

Questo processo di presa di coscienza ci porta quindi oltre la polarizzazione gioventù-anzianità, aprendo la via a un nuovo modello di democrazia e a un sistema di welfare morente che potrebbero trarre beneficio dalla solidarietà intergenerazionale, un fondamentale pilastro per una comunità coesa e solidale.