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L’addio di Rob Joyce alla NSA segna una svolta

L’esperto di sicurezza informatica Rob Joyce lascia la NSA dopo 34 anni, enfatizzando l’importanza della trasparenza.

Giunge al termine il lungo e influente servizio di Rob Joyce, noto veterano della National Security Agency (NSA), che dopo trentaquattro anni di onorato servizio presso l’agenzia di spionaggio, si ritira a fine marzo. La sua uscita dal contesto governativo degli Stati Uniti segna la perdita di uno degli esperti di cyber security più esperti proprio nell’imminenza di un anni d’elezioni cruciali e durante il moltiplicarsi di segnalazioni che indicano la Cina come protagonista di operazioni cyber senza precedenti contro le infrastrutture critiche statunitensi.

La carriera di Joyce si è distintamente caratterizzata per il suo ruolo di pioniere in un’agenzia riconosciuta per la sua riservatezza storica. Nella sua posizione attuale, alla testa della Direzione per la Cyber Security dell’NSA, ha promosso un incremento dell’intelligence condivisa riguardo le minacce cyber e ha rafforzato la collaborazione con gli operatori di infrastrutture critiche e il settore industriale.

Il General Timothy D. Haugh, direttore dell’NSA, ha elogiato Joyce definendo la sua guida nella missione critica della sicurezza informatica come “esemplare”. L’approccio visionario di Joyce ha permesso lo sviluppo di una squadra competente nella Cyber Security Directorate (CSD), assicurando che il comparto della sicurezza informatica dell’NSA continui a proteggere con successo gli alleati e i sistemi nazionali nel futuro.

David Luber, vice direttore della CSD e anch’egli veterano dell’NSA con trentasei anni di esperienza, prenderà il posto di Joyce. Durante un evento organizzato da CyberScoop nel 2022 a Washington, Joyce ha esortato la NSA a deviare dalla sua storica segretezza, sottolineando la necessità di “rendere accessibili le informazioni in nostro possesso senza mettere a rischio il modo in cui le abbiamo acquisite. Questo rappresenta realmente un punto di svolta che ci permette di condividere ampiamente e dettagliatamente per risultati operativi più efficaci”.

Il messaggio di Joyce è stato chiaro: “Non serve a nulla essere a conoscenza di una minaccia se poi non si agisce di conseguenza”. Per lui, l’azione è il fulcro nella sfera della sicurezza informatica, dove mantenere segreti senza operativizzarli vanifica il potere dell’informazione.

Nel corso degli anni, Joyce ha frequentemente discusso delle minacce rappresentate dagli hacker cinesi agli Stati Uniti, in particolare in relazione alle infrastrutture critiche. Tuttavia, in una recente apparizione alla International Conference on Cyber Security presso la Fordham University, Joyce ha espresso un cauto ottimismo riguardo all’efficacia con cui la NSA e altre agenzie hanno sfruttato l’intelligenza artificiale e il machine learning per combattere le operazioni di hacking cinesi che avrebbero potuto eludere gli approcci difensivi tradizionali.

Entrato nell’NSA nel 1989, Joyce ha ricoperto molteplici ruoli durante la sua lunga carriera a Fort Meade, guidando anche l’unità di hacking d’élite dell’agenzia, denominata Tailored Access Operations, tra il 2013 e il 2017. Nell’amministrazione Trump, Joyce ha operato come consulente senior per la sicurezza informatica alla Casa Bianca, prima di fare ritorno all’NSA, incluso un incarico come ufficiale di collegamento speciale all’ambasciata degli USA a Londra.

Con l’addio di Rob Joyce, la National Security Agency non perde solo un esperto: lascia un’eredità di trasparenza e collaborazione che potrebbe essere il futuro della cyber security nell’ambito dell’intelligence statunitense.