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Il volto del sospetto: DNA e riconoscimento facciale

I documenti trapelati mostrano il tentativo della polizia di usare il riconoscimento facciale su un volto creato dal DNA di una scena del crimine.

In una svolta che sfiora i confini della fantascienza, dai documenti recentemente trapelati emerge come una forza di polizia abbia tentato di utilizzare la tecnologia del riconoscimento facciale su un viso generato a partire dal DNA rinvenuto su una scena del crimine. Questo caso, che sembra essere il primo nel suo genere, apre nuovi orizzonti investigativi, ma anche questioni etiche e giuridiche.

Per capire meglio la portata di questi sviluppi, consideriamo prima i progressi avvenuti nel campo della genetica forense. Recentemente, attraverso tecniche avanzate, gli esperti sono in grado di stipulare una sorta di “ritratto” fisico di un individuo, basandosi esclusivamente sul materiale genetico recuperato. Algoritmi e software sofisticati trasformano sequenze di DNA in modelli facciali che dovrebbero teoricamente rispecchiare le caratteristiche somatiche del soggetto.

Da una parte, l’applicazione di queste tecnologie segna un passo avanti per le forze dell’ordine, offrendo un nuovo strumento potenzialmente rivoluzionario nella risoluzione di casi irrisolti. D’altra parte, l’incrocio tra le previsioni facciali da DNA e il riconoscimento facciale solleva interrogativi non solo sulla precisione di tali metodi, ma anche sulla loro liceità e le implicazioni per la privacy degli individui.

La società al centro di questa controversia, Parabon NanoLabs, è nota per aver collaborato con le autorità fornendo queste “ricostruzioni facciali” a partire da campioni biologici. Tuttavia, l’uso congiunto con i sistemi di riconoscimento facciale, così come riportano fonti attendibili, propone una questione inedita: in che misura è etico e legale cercare di identificare una persona associando due tecnologie così invasive?

Nonostante il potenziale per far luce su crimini ancora avvolti nel mistero, si pone il problema della veridicità di tali predizioni. Il rischio di incolpare un innocente cresce esponenzialmente se si considera che è possibile generare un volto compatibile con molteplici individui, ognuno con DNA leggermente differente, ma non necessariamente legati al delitto indagato.

Si apre così un intrigo che unisce scienze forensi, tecniche di intelligenza artificiale e normative sulla privacy. La necessità di una regolamentazione è impellente, come pure il dibattito sull’etica di pratiche investigative che, pur mirando alla giustizia, possono sfociare in violazioni dei diritti personali.

Il futuro della cyber security e della giustizia penale potrebbe dipendere dal bilanciamento tra l’efficienza delle indagini e il rispetto della privacy e dei diritti civili degli individui. Quanto trapelato su questo recente episodio ci pone di fronte a un bivio critico, dove le scelte di oggi potrebbero definire le pratiche e i limiti dell’uso investigativo delle tecnologie digitali di domani.