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Avast penalizzata per violazione della privacy

Scopri le implicazioni della multa milionaria che ha colpito l’antivirus Avast per la commercializzazione dei dati degli iscritti.

Il concetto che non ci siano servizi gratuiti in cambio di nulla si conferma ancora una volta, stavolta nel campo degli antivirus. La sanzione inflitta dalla Federal Trade Commission (FTC) all’azienda Avast svela un retroscena inquietante: la compagnia è stata accusata di raccogliere e vendere le informazioni degli utenti durante gli anni 2014-2020, nonostante la promessa di bloccare il tracciamento online.

L’ultimo comunicato della FTC è stato un lampo nel cielo sereno per molti utilizzatori del famoso software antivirus, scaricato per la sua gratuità e apparente affidabilità. Informazioni di navigazione, quali siti internet visitati, dettagli sulla geolocalizzazione e sui dispositivi usati, fino a dati sensibili quali credenze religiose, condizioni di salute e affiliazioni politiche, tutto è stato raccolto senza remore.

La compagine di Avast, attraverso la sua sussidiaria Jumpshot, era giunta persino a fare pubblicità alla possibilità di acquistare questi dati, descritti come “incredibilmente dettagliati” sui comportamenti di click online di milioni di utenti. Un elenco di informazioni così ampio da poter rivelare caratteristiche intime e personali, potenzialmente dannose se cadute nelle mani sbagliate.

Risale già al 2019 l’eco di queste pratiche scorrette, quando una serie di indagini giornalistiche aveva sollevato dubbi sulla gestione dei dati da parte di Avast. Da quel momento, la questione ha scatenato reazioni anche presso le associazioni dei consumatori, sfociate in richieste di risarcimento collettivo.

Di fronte a questo scenario, è pressante l’esigenza delle utenze di fare attenzione alla scelta degli antivirus. Questi software richiedono privilegi amministrativi elevati per poter ispezionare ogni angolo dei sistemi informatici e proteggerli dalle minacce. Dunque, concederli significa aprire le porte ai dati più riservati.

La vicenda Avast è un campanello d’allarme che riecheggia anche in situazioni di crisi geopolitica, come è stato per il produttore di antivirus Kaspersky durante il conflitto tra Russia e Ucraina. In tali contesti, emerge il timore che software con elevate autorizzazioni possano trasformarsi in cavalli di Troia.

Di fronte a queste incertezze, si raccomanda prudenza nell’utilizzo di software di sicurezza, sia gratuiti che a pagamento. Le soluzioni Free and Open Source Software (FOSS) rappresentano una valida alternativa, in quanto permettono un controllo più trasparente del codice e, di conseguenza, delle attività che esso svolge.

La praticità e l’apparente sicurezza di un prodotto gratuito non dovrebbero mai indurre a sottovalutare la tutela della propria privacy. La condotta avvenuta nel caso di Avast ci ricorda che la protezione dei dati personali deve sempre essere una priorità assoluta.