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La CIE e lo Stallo della Firma Elettronica nelle PA

La firma con CIE potrebbe essere la chiave per l’innovazione digitale ma affronta ostacoli nell’accettazione da parte delle PA.

La firma elettronica avanzata (FEA) rappresenta uno dei pilastri dell’identità digitale nell’era moderna, fornendo un equivalente giuridico alla firma autografa. Tuttavia, c’è un’incertezza che persiste nell’interazione tra cittadini e amministrazioni pubbliche: la firma apposta con la Carta d’Identità Elettronica (CIE) non è universalmente riconosciuta. Questo divario nella digitalizzazione della pubblica amministrazione solleva diversi interrogativi.

Esaminiamo il contesto normativo: il Codice dell’Amministrazione Digitale e il DPCM del 22 febbraio 2013 si sforzano di bilanciare l’innovazione digitale con requisiti di sicurezza e legalità. In particolare, il DPCM menziona che l’uso della CIE equivale all’applicazione di una FEA nei rapporti con la pubblica amministrazione. Questa disposizione dovrebbe garantire che la FEA realizzata con la CIE sia intrinsecamente conforme alle regole tecniche senza l’ulteriore necessità di verifiche.

Nonostante le aspettative e le linee guida fornite dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato (IPZS), che ha sviluppato l’applicazione CIESign per agevolare la creazione di firme conformi ai formati richiesti, ancora oggi assistiamo a una mancata omogeneità nell’accettazione di tale metodo di firma. Analogamente, anche altre applicazioni come quella reperibile su FirmoconCIE.it contribuiscono a questo ecosistema ma si scontrano con le stesse problematiche.

Il muro di gomma spesso incontrato dai cittadini si materializza quando la PA destinataria del documento firmato con CIE lo respinge. Le ragioni, non sempre esplicite, possono variare dalla richiesta di una firma digitale qualificata o il mancato aggiornamento dei sistemi di verifica delle firme. Una lacuna normativa sembra emergere in quest’area, poiché alcune Pubbliche Amministrazioni interpretano in modo restrittivo la normativa, limitando così l’uso della FEA realizzata con la CIE.

Una possibile via d’uscita da questa situazione di stallo potrebbe essere un intervento da parte dell’Agenzia per l’Italia Digitale (AgID) per chiarificare e allineare le attuali regole tecniche, aprendo la strada a un’applicazione senza intoppi dei dispositivi elettronici di firma. A complemento, l’oneroso aggiornamento normativo previsto potrebbe includere un sistema di interoperabilità più basilare, diretto e accessibile.

In prospettiva futura, la promessa dell’IT Wallet e del Portafoglio Europeo di Identità Digitale, stabilita da eIDAS 2.0, propende per la gratuità della firma elettronica qualificata per i cittadini. Fino a che punto la realtà si allineerà a queste aspettative? Resta da vedere, ma il cambiamento sembra inesorabile, sebbene ancora in lontananza.

Si discerne dunque un’importante verità: l’innovazione tecnologica, anche quando possiede una forte base normativa, può affrontare resistenze nell’implementazione pratica. Una maggiore sinergia tra le istituzioni e un dialogo costruttivo potrebbero essere la chiave per superare questi ostacoli, abilitando soluzioni rapide e affini allo spirito di un’Italia sempre più digitale.