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Il Cammino Incerto dell’Autonomia Territoriale

L’autonomia differenziata, discussa tra esperti e politica, è davvero il percorso ottimale per favorire l’unità nell’eterogeneità del nostro paese?

Il dibattito sull’autonomia differenziata in Italia trova terreno fertile nella critica di stimati costituzionalisti, quali Zagrebelsky e Cassese. La questione riguarda la sostenibilità di una riforma che prometta uniformità di diritti e servizi attraverso la definizione di Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP), superando le disparità territoriali oggi segnate da migrazioni per bisogni sanitari, educativi e professionali. Si pone, quindi, una domanda di fondo: è necessario perseguire tale riforma quando, forse, basterebbe guardare alla gestione europea per ridurre le iniquità?

Nella soluzione proposta dall’Unione Europea, emerge la prassi di stabilire standard uniformi come incentivo alla riduzione del divario interregionale. Tale processo mira a un ordinamento che riveda la burocrazia e semplifichi il sistema normativo. Partendo dall’analisi dell’efficacia delle politiche pubbliche e dei livelli di benessere civile, si propone la creazione di un report annuale comparativo sulle prestazioni regionali che identifichi criticità e possibili soluzioni. La successiva definizione di indicatori di qualità da applicare in Regioni pilota, alimenterebbe un percorso di omogeneità nell’offerta e nell’efficacia delle prestazioni.

D’altro canto, occorre considerare la capacità di integrazione e collaborazione tra territori che, pur nella loro unicità, possano cooperare localmente per competere su scala globale. La posizione geografica di una Italia ponte tra diverse aree del Mediterraneo sottolinea l’importanza strategica di infrastrutture integrate e di una visione che superi le divisioni regionali, soprattutto considerando la dipendenza del paese dalla logistica via mare e via terra.

Una visione innovativa dell’autonomia potrebbe vedere l’istituzione di un ente indipendente, guidato da figure istituzionali imparziali, con l’obiettivo di guidare il cambio di rotta verso un federalismo dinamico e collaborativo. Si tratta, in buona sostanza, di cercare un equilibrio che garantirebbe la diversità territoriale ma, al tempo stesso, farebbe sistema a livello macroregionale, portando a una vera coesione nazionale.

Il federalismo civico di matrice europea nasce quindi come antidoto contro una segmentazione pericolosa per il tessuto economico e sociale del paese. In questo scenario, l’europismo diventa un principio trainante per costruire una società inclusiva e sostenibile, con un focus marcato sui diritti civili e l’accesso a servizi di qualità attraverso un civismo orientato al benessere collettivo.

Sembrerebbe infatti che l’autonomia differenziata, così come concepita al momento, rappresenti una strategia puntiforme che rischia di trascurare le necessità di una pianificazione più ampia, tendente all’integrazione e alla formazione di aree territoriali maggiormente estese e omogenee sul fronte delle opportunità e dei servizi. La sua implementazione, senza un serio processo di valutazione e adeguamento ai principi europei, potrebbe dunque risultare in un ulteriore frammentazione anziché in un passo avanti verso l’unità in diversità.